Stavolta vi parlerò di soutache. Non intendo tediarvi con la storia del mitico cordino piatto in poliestere che impazza nella bigiotteria degli ultimi anni – per questo, vi rimando qui – ma vorrei solo raccontarvi un po’ come è nata la mia personale interpretazione di questo materiale.
Il soutache, così morbido e colorato, si presta molto alla realizzazione di gioielli. Infatti, non è un caso che in pochi anni il mercato sia stato letteralmente sommerso da orecchini e pendenti realizzati con questo prodotto. Ricordo che all’inizio ero curiosa di testarlo, ma non andavo matta per l’uso che di solito se ne fa –gioielli troppo vistosi, troppo ingombranti, troppo pacchiani, troppo… – e quindi ho deciso di inventarmi un metodo di utilizzo tutto mio.
Partendo da una base rigida per bracciale in ottone, ho cominciato a rivestirla interamente con la piattina, usando la parte più larga invece che il cordino di taglio (come di solito si fa). Un’idea semplicissima… proprio come piace a me!
Lo step successivo è stato quello di donare luce al bracciale. E cosa poteva esserci di meglio di una manciata di briluccicosissimi strass Swarovski (sempre e rigorosamente originali)??! Et voilà.
Color me… è un’espressione inglese che ho imparato ascoltando le canzoni degli Extreme (quelli di More Than Words, ve la ricordate?). Uno dei loro cavalli di battaglia degli anni ’90 si intitolava Color Me Blind: I had a dream / Last night, I was blind… Mi piace che in questa espressione ci sia la parola ‘colore’, perché rispecchia il carattere di questi bracciali. E come potrebbe sentirsi una donna, indossandone uno? Sicuramente, happy.
Color Me Happy, baby!